


Tra gli usi e le tradizioni di Andretta non bisogna dimenticare l’uccisione del maiale. Il rito, fin dal passato, avveniva nel periodo invernale ed era utile per le riserve alimentari delle famiglie, diventando momento di festa per tutto il vicinato. Il sangue veniva raccolto per il “sanguinaccio”. Dopo aver tolto i peli del maiale, le setole, con un “coltello a petto”, di stretta fabbricazione del fabbro locale, l’animale, scannato, veniva appeso ad un divaricatore di legno (ammiero) che si infilava nei tendini delle zampe posteriori e in tal modo, veniva ripulito per i successivi passaggi di sezionamento. Si apriva l’addome per togliere le interiora, a questo punto il maiale cominciava ad essere lavorato, ogni parte del corpo diventava alimento con particolare predilezione a salsiccia, a soppressata, a capicollo e a quanto di buono potesse tornare utile come alimento. Terminato il lavoro di competenza, alle donne veniva affidato il compito di preparare il pranzo per tutti con particolare predilezione per il soffritto di maiale (sfr(e)ttuliàta) i cui ingredienti erano: il fegato, il cuore, il polmone, la trachea, tocchetti di carne con parti grasse, patate fritte e peperoni fritti sotto aceto. L’indomani veniva selezionata la carne per i salami(saucìcchi), salsicce e soppressate(s(e)bbursàte), opportunamente condita con pepe in grani, sale, finocchio selvatico, peperoncino, vino rosso o bianco. Lasciato riposare l’impasto per qualche ora si passava al riempimento dei budelli più stretti per riempire le salsicce, e quelli più larghi per le soppressate. Si appendevano i salami a pertiche di legno in locali non eccessivamente ventilati e si lasciavano stagionare per circa quaranta giorni. Allo stesso modo, attraverso la salagione, venivano conservate le zampe del maiale, le cotenne, gli ossi non spolpabili, le orecchie che venivano “maritati” con la verza e con la pizza di granone con le cigole.