
Dopo una vita di stenti e di sacrifici, perduta la speranza di un futuro migliore, la nostra donna-contadina dei primi anni del ‘900, appoggiata « ngimma a la purteḍḍa», rimane in attesa:
•In attesa del marito che rientri dai campi;
•In attesa di una notizia del figlio in guerra;
•In attesa di una lettera del figlio emigrato;
•In attesa di uno sguardo e di un sorriso che diano ancora senso alla vita;
•In attesa della morte che chiuda definitivamente l’angoscia e la sofferenza di una esistenza grama.
Parla ai muri, alle cose, ai ricordi della memoria e con essi condivide la solitudine di un giorno senza fine.